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Territori a vocazione olivicola

Territori a vocazione olivicola

In Italia vi sono un milione di imprese olivicole circa. La coltura dell’olivo è diffusa da Trento ad Agrigento, passando per la Sardegna. Il valore della produzione a prezzi base del settore olivicolo sfiora i 2miliardi di Euro e sviluppa un mercato pari a circa 50 milioni di giornate lavorative all’anno in tutta Italia. Il nostro Paese possiede un patrimonio olivicolo di oltre 250 milioni di piante, con oltre 350 varietà diverse, vanto della ricchezza dei mille sapori e colori delle mille campagne italiane. Conta 43 denominazioni di origine protetta e una Igp e una produzione di olio di oliva in generale che sfiora mediamente le 500 mila tonnellate.

Abruzzo

L’olivicoltura rappresenta da sempre un settore importante per l’agricoltura abruzzese, tanto che i dati pongono l’Abruzzo al settimo posto in Italia in relazione alle superfici olivate coltivate. La superficie coltivata regionale è infatti di circa 41.900 ettari e la campagna olivicola coinvolge attivamente oltre 60.770 aziende olivicole e 312 frantoi. La produzione di olio stimata per la campagna 2021/2022 è di circa 10.290 tonnellate, in crescita rispetto all’anno precedente del 30%. Le piante di olivo sono circa 8.528.359 e le varietà principali presenti sono la Dritta, il Leccino e la Gentile di Chieti; non mancano numerose varietà locali: Tortiglione, Toccolana, Castiglionese, Rustica, Intosso, Gentile dell’Aquila, Carboncella, Crognaleto, Nebbio di Chieti, Leccio del Corno, Itrana. 

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Gli oliveti sono presenti per lo più nella fascia collinare, sia nei pressi del litorale, sia internamente, ma non mancano olivi nella fascia pedemontana. Le DOP presenti sono tre: Aprutino Pescarese, il cui disciplinare di produzione prevede come territorio una buona parte della provincia di Pescara; Colline Teatine, principalmente nella provincia di Chieti, con le due sottozone “Frentano” e “Vastese”; Pretuziano delle Colline Teramane, per lo più in provincia di Teramo.

Basilicata

La coltivazione dell’olivo in Basilicata risale già al XV secolo a.C.: tracce evidenti testimoniano l’applicazione di tecniche di coltivazione, trasformazione e conservazione del prodotto abbastanza evolute. La coltura dell’olivo è praticata in maniera specializzata sia nel Materano, dove tra le varietà autoctone spiccano la Maiatica e l’Ogliarola del Bradano, sia nel Potentino, dove prevale l’Ogliarola del Vulture. L’attività delle 42.084 aziende e dei 117 frantoi operanti nella regione, sugli oltre 26.000 ettari di superficie olivetata, porta per la campagna 2021/2022 alla produzione di circa 4.488 tonnellate di olio. Il comparto costituisce uno dei settori più importanti dell’economia agricola lucana, non solo per il numero degli addetti e per il volume di affari che genera, ma anche per le superfici occupate e le implicazioni che da queste discendono in termini di difesa del suolo e tutela del paesaggio. Nella provincia di Potenza le principali produzioni sono l’Olio extravergine di oliva del Vulture DOP, gli oli del Sauro e dell’Alta Val d’Agri. L’Olio Dop del Vulture è ottenuto principalmente dalla molitura di olive Ogliarola del Vulture. Arricchito anche da cultivar di provenienza locale, si presenta limpido, con un colore giallo ambrato con riflessi verdi. Il profumo è delicatamente fruttato; il sapore caratteristico è di oliva matura dolce con una lieve nota di amaro e di piccante. Le varietà usate per l’olio del Sauro sono quelle locali, fra cui spiccano Ogliarola e Nostrale. L’aroma caratteristico dell’olio extravergine del Sauro è descritto dal fruttato di oliva e da note erbacee, come erba tagliata e foglia di pomodoro. Il Sauro è un olio equilibrato per la moderata intensità di queste caratteristiche, come pure delle note di amaro e piccante.

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Il profumo è delicatamente fruttato; il sapore caratteristico è di oliva matura dolce con una lieve nota di amaro e di piccante. Le varietà usate per l’olio del Sauro sono quelle locali, fra cui spiccano Ogliarola e Nostrale. L’aroma caratteristico dell’olio extravergine del Sauro è descritto dal fruttato di oliva e da note erbacee, come erba tagliata e foglia di pomodoro. Il Sauro è un olio equilibrato per la moderata intensità di queste caratteristiche, come pure delle note di amaro e piccante.Nella provincia di Matera possiamo distinguere due vaste aree in cui è distribuita l’olivicoltura, quella del metapontino, dove la qualità di ulivo più diffusa è l’Ogliarola del Bradano e quella che comprende la collina materna, dove è diffusa la Majatica di Ferrandina. L’olio ricavato dall’Ogliarola del Bradano è molto aromatico, dal sapore fruttato ed intenso, di tipo verde, in cui si avvertono i profumi di erba, carciofo, pomodoro e foglia d’ulivo. L’olio ricavato dalla Majatica è molto fruttato e dì intensità medio leggera, è un olio dolce e l’intensità del piccante è lieve. La maggior parte delle aziende per la produzione di olive da olio sono a conduzione familiare.

Calabria

Ammontano a 184.529 gli ettari destinati all’olivicoltura in Calabria, 714 i frantoi attivi e 136.243 le aziende, con 35.836 tonnellate di olio extravergine di oliva prodotte per la campagna 2021/2022. Questi numeri testimoniano il valore della Calabria, una terra che risulta essere tuttora uno dei patrimoni olivicoli più importanti del Mediterraneo, dove la coltura dell’olivo risale almeno al XVI sec. a.C. Le cultivar diffuse sul versante tirrenico lametino sono la Carolea e sul versante reggino sono la Sinopolese e l’Ottobratica; sul versante ionico, a nord troviamo la Dolce di Rossano e la Grossa di Cassano e a sud la Grossa di Gerace; insieme a quest’ultima, nelle zone interne a nord di Cosenza, è familiare anche la Roggianella.

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La Calabria ha ottenuto la registrazione di tre Denominazioni di Origine Protetta: DOP Alto Crotonese, nella provincia di Crotone; DOP Lametia, in provincia di Catanzaro; DOP Bruzio, avente quattro menzioni geografiche (“Fascia Prepollinica”, “Valle Crati”, “Colline Joniche Presilane” e “Sibaritide”. A queste, cui si aggiunge l’IGP Olio di Calabria che interessa l’intero territorio olivicolo calabrese.

Campania

La ‘Campania felix’ vanta una storia olivicola molto antica e una struttura produttiva dalle grandi potenzialità. Nel Cilento, nella Penisola Sorrentina, a Paestum, ma anche in numerose altre aree della regione, la presenza storica dell’olivo è ampiamente documentata. La tradizione vuole che le prime piante fossero state introdotte dai Focesi, nel IV sec. a.C. L’olivo domina il paesaggio nelle aree interne e svolge una funzione insostituibile nella protezione del suolo e nella conservazione dell’ambiente. Nel complesso l’olivicoltura in Campania interessa una superficie di oltre 75.760 ettari. A tale superficie corrisponde un patrimonio olivicolo di oltre 14 milioni di piante, 112.093 aziende con 346 frantoi attivi, che per la campagna 2021/2022 è stata stimata una produzione di circa 11.093 tonnellate di olio. Un elemento di grande importanza, che contribuisce all’affermazione dell’olivicoltura campana, è rappresentato dal patrimonio varietale della regione, molto ricco e diversificato. 

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Un elemento di grande importanza, che contribuisce all’affermazione dell’olivicoltura campana, è rappresentato dal patrimonio varietale della regione, molto ricco e diversificato. In tutte le principali aree olivicole, infatti, sono presenti varietà autoctone di elevato pregio e spiccata tipicità: Ogliarola, Nostrale e Ravece, in provincia di Avellino; Raccioppella, Sprina, Ortice e Ortolana, in provincia di Benevento; Olivo da olio in Penisola Sorrentina; Asprinia, Tonda, Caiazzona e Sessana in provincia di Caserta; Rotondella, Carpellese, Nostrale, Biancolilla e Pisciottana, in provincia di Salerno. Ben cinque le DOP riconosciute dall’Unione Europea: Cilento; Colline Salernitane; Penisola Sorrentina; Irpinia – Colline dell’Ufita; Terre Aurunche.

Emilia Romagna

Il radicamento dell’olivo nelle colline romagnole è forte e storicamente documentato fin dall’epoca romana: risale al II secolo d.C. un rudimentale frantoio familiare in pietra ritrovato presso la Pieve del Thò. La coltivazione dell’olivo vanta dunque in questo territorio una tradizione millenaria. Le aree geografiche di riferimento e più importanti per la coltivazione dell’olivo in questa regione sono le valli dei fiumi Marecchia, Marano e Conca in provincia di Rimini; le valli del Rubicone, del Savio, del Bidente e del Montone in provincia di Forlì-Cesena; le valli del Senio e del Lamone in provincia di Ravenna. Una recente e significativa ricomparsa della coltura dell’olivo si ha anche in provincia di Bologna, in alcune aree collinari e limitatamente ai versanti più riparati dai venti freddi settentrionali. Qui gli olivi si aprono a ventaglio sulle colline, disposti a file o in gruppi, a volte misti a vigneti, su un terreno di medio impasto, tendente al sabbioso. La collina è caratterizzata da un clima mite, piovoso, riparato dalle correnti più fredde. La produzione deriva principalmente da tre cultivar tipiche: Nostrana di Brisighella, Ghiacciola e Orfana. Si tratta di una produzione estremamente controllata e selezionata. La raccolta, o brucatura, è eseguita a mano con l’aiuto di “pettini” e avviene facendo cadere le drupe in reti disposte sotto la chioma degli alberi.

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 Le olive vengono poi trasportate in cassoncini ampi (bassi e traforati, che garantiscono la migliore circolazione dell’aria e impediscono l’avvio di processi che possono alterare la qualità del prodotto) e sono preferibilmente molite nello stesso giorno o nei giorni immediatamente successivi. L’estrazione dell’olio avviene per sgocciolamento e a temperatura controllata. Due i riconoscimenti DOP che vanta l’Emilia-Romagna: Brisighella (il primo olio extra vergine di oliva commercializzato con l’etichetta Dop dell’Unione Europea già dal marzo 1998) e Colline di Romagna. La struttura del mercato dell’olio extra vergine prodotto in Emilia-Romagna si regge su 4.514 aziende, per la maggior parte di piccole dimensioni. Nel complesso la superficie regionale a oliveti è pari a 4155 ettari (di cui oltre il 50% in provincia di Rimini, circa il 30% in provincia di Forlì-Cesena e il resto nelle province di Ravenna e Bologna). Con 43 frantoi attivi, la produzione nella campagna olearia 2021/2022 è stimata in circa 915 tonnellate.

Lazio

L’olio di oliva e l’ulivo stesso hanno da sempre caratterizzato Roma e la sua storia e sono da sempre parte integrante di tutto il panorama laziale. Circa 83.000 ettari di superficie olivetata, oltre 127.865 aziende coinvolte e 319 frantoi attivi e una produzione regionale stimata per la campagna 2021/2022 di circa 17.415 tonnellate, sono cifre che attestano l’importanza del settore olivicolo del Lazio. Un’importanza, quella dell’olio d’oliva, che nel Lazio va ben oltre il dato meramente statistico, trattandosi di un prodotto che affonda le proprie radici nella storia e nella cultura regionale e che contribuisce non poco al sostegno dell’economia locale, anche in chiave di sviluppo del turismo enogastronomico. Già gli Etruschi apprezzavano il prodotto dell’ulivo, ma furono i Romani a diffondere la coltivazione dell’ulivo in tutto l’Impero, come anche la commercializzazione dell’olio d’oliva in tutte le sue più varie applicazioni. Oggi come allora, sono molte le zone del Lazio vocate ad una olivicoltura di qualità, come dimostrato dalla presenza di quattro DOP. La DOP Sabina – una delle prime d’Italia – tutela gli oli ottenuti dalle varietà Frantoio, Leccino, Pendolino, Moraiolo, Rosciola, Carboncella, oltre che dalle cultivar locali Raja, Olivastrone, Olivaga e Salviana.

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 Tuscia e Canino sono le due DOP presenti nel viterbese, dove recita un ruolo da regina la cultivar Canino. Mentre le varietà Minutella, Vallanella e Itrana sono le protagoniste della DOP Colline Pontine, nella provincia di Latina. Tutte le province del Lazio sono oggi coinvolte nel rinnovamento della propria tradizione oleicola, cercando opportunità di sviluppo in un mercato che negli ultimi anni, al pari di quanto già avvenuto nel mondo del vino, è finalmente sensibile a valori come la qualità, la riconoscibilità e l’origine.

Liguria

La Liguria ha la fortuna di essere una tra le regioni olivicole più note ai consumatori. Ma la sua fortuna, si sa, non è frutto del caso: la si è costruita in anni e anni di laboriose fatiche. Sulla base dei dati ISMEA forniti da AGEA, la produzione dell’ultima campagna 2021/2022 è stimata in circa a 3269 tonnellate di olio prodotto. Sono 157 i frantoi attivi, grazie ai quali la Liguria è in grado di fornire al consumatore un prodotto in cui si trovano contemporaneamente tracciabilità e caratteristiche qualitative specifiche legate all’ambiente. La storia dell’olivicoltura in Liguria è plurisecolare. Parte da una domesticazione pre-romana e dalla successiva colonizzazione romana che promuove l’olivicoltura nei grandi spazi delle ville rustiche. Nel corso del Medioevo si selezionano le cultivar. Una di queste, la Taggiasca, presente nel Ponente ligure, è molto nota. Il nome rimanda alla sua appartenenza originaria al territorio di Taggia, non lontano da San Remo, ove operavano importanti famiglie proprietarie e, nel XII secolo, i monaci Cistercensi, da sempre impegnati in campo agricolo. Il grande reddito assicurato dagli oliveti ha favorito il terrazzamento del territorio, tutto con muri in pietra a secco. La massima estensione coltivata ad oliveto in regione si delinea nel corso del XIX secolo. Il Novecento supera le crisi del settore in forza di un prodotto di alta qualità, anche se realizzato con un alto costo primario dovuto ad un lavoro manuale su di un territorio difficile.La qualità però non è in discussione. Anzi, nel 1997 è stata istituita la Denominazione di Origine Protetta “Riviera Ligure”.

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  L’olio DOP “Riviera Ligure”, fruttato, leggero, suadente, delicato, cambia leggermente caratteristiche andando da Ponente a Levante; è distinto in tre sottomenzioni: la “Riviera dei Fiori”, in provincia di Imperia, prodotto con olive Taggiasca per almeno il 90%, amaro e piccante lieve, con sentori di mandorla e punta piccante in chiusura; la “Riviera del Ponente Savonese”, per un olio costituito da olive Taggiasca per almeno il 50% e da altre cultivar locali come la Pignola, l’Arnasca e la Colombara, con note amare e piccanti in equilibrio e buona fluidità, sentori di mandorla, mela, e una lieve punta piccante in chiusura; la “Riviera di Levante”, per le province di Genova e La Spezia, da olive Lavagnina (la cugina di Levante della Taggiasca), Razzola, Pignola e cultivar locali autoctone per almeno il 65%, con profumi fruttati leggeri o medi e sentori vegetali di carciofo, punta piccante persistente e progressiva.

Lombardia

Così come il vicino Trentino Alto Adige, la Lombardia è una delle zone più settentrionali dell’emisfero boreale, in cui l’olivo riesce a sopravvivere, vanta il primato dell’olio più settentrionale con quello della Valtellina che si trova sopra il 46° parallelo, un’area che non spicca per la quantità delle produzioni, ma sicuramente per la qualità. L’olivo ha trovato un clima adatto attorno ai maggiori laghi lombardi, dove il clima è sufficientemente dolce e dove è diventato un elemento importante del paesaggio locale. Le principali cultivar presenti sono ecotipi locali della varietà Frantoio, chiamata Casaliva sul Benaco e Sbresa sul Sebino, è poi numerosa la presenza del leccino. Le radici dell’olivicoltura lombarda risalgono all’età cristiana, come testimonia la presenza di frantoi in antiche ville rurali come quella di Desenzano, di epoca romana. Nel Medioevo i monaci della Badia di Leno, nella Valtènesi (Brescia), bonificano paludi e dissodano colline per impiantarvi vigne e oliveti; l’olio prodotto sulle coste del Lago di Garda diventa il più apprezzato sul mercato veneziano, fino a divenire, nel XVI secolo, addirittura surrogato creditizio nei contratti di fitto. 

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 Il Novecento registra invece un’inversione di tendenza: molte colture di olivo vengono sostituite da coltivazioni di lino, canapa e filari di gelso per l’allevamento dei bachi da seta. In Lombardia la superficie investita ad oliveto è di circa 2.400 ettari con 32 frantoi attivi per una produzione che, per la campagna 2021/2022, è stimata in circa 400 tonnellate, con un evidente calo produttivo rispetto all’anno precedente. Dal 1998 sono state riconosciute due DOP: Garda, con le menzioni geografiche aggiuntive “Bresciano” (prov. Brescia), “Orientale” (prov. Di Verona e Mantova) e “Trentino” (prov. di Trento); Laghi Lombardi, con le due menzioni geografiche aggiuntive “Sebino” e “Lario” (prov. di Brescia, Bergamo, Como, Lecco).

Marche

Negli oltre 9.000 ettari di superficie olivetata delle Marche, distribuita su tutto il territorio regionale – con prevalenza produttiva nelle province di Ascoli Piceno e Macerata – si ottengono produzioni olearie di altissimo pregio e valore. Una su tutte la Dop Cartoceto (omonima zona in provincia di Pesaro-Urbino), a tutela di una tradizione ampiamente documentata fin dal Cinquecento. Attualmente, inoltre, ha concluso l’iter e risulta attuata l’Igp Marche. In totale la produzione regionale per la campagna 2021/2022 è stimata in circa 3.025 tonnellate, coinvolgendo attivamente 165 frantoi. 

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Eredi di una tradizione millenaria, i produttori marchigiani hanno accolto con spirito di collaborazione le tante iniziative implementate da qualificati tecnici ed esperti agronomi, volte al miglioramento qualitativo. Dalle varietà tipiche, Piantone di Mogliano, Raggia, Carboncella, Rosciola, Leccio del Corno, Piantone di Falerone, si ottengono oli dal fruttato anche intenso, con note di mandorla verde e apprezzabili livelli di amaro e piccante.

Molise

Su un territorio in gran parte impervio, montuoso per quasi l’80%, l’olivicoltura viene praticata almeno da due millenni. È lungo l’elenco delle citazioni classiche che parlano del Molise oleario: Catone il Censore, Marco Terenzio Varrone, Strabone, Quinto Orazio Flacco, Giovenale e Plinio il Vecchio. La letteratura latina ci ha tramandato numerose testimonianze storiche sull’apprezzamento degli oli prodotti nel Frentano e nel Venafrano. Non è un caso dunque il riconoscimento arrivato nel 2004 alla Dop Molise, vero punto di svolta per il comparto regionale. Gli oliveti molisani sono impiantati prevalentemente a ridosso della fascia litoranea e sulle colline preappenniniche. La zona più produttiva è localizzata nella provincia di Campobasso, mentre la zona più vocata è la piana di Venafro. La cultivar più rappresentativa della DOP Molise è la Gentile di Larino, seguita dalla Aurina, Rosciola di Rotello, Oliva nera di Colletorto, Cellina di Rotello, Cerasa ed altre minori.

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Il settore olivicolo molisano può contare su una superficie olivetata di circa 14.400 ettari, 21.581 aziende, 100 frantoi attivi e una produzione stimata nella campagna olearia 2021/2022 di circa 3.387 tonnellate, in crescita rispetto all’anno precedente del 20%. Gli oli molisani si contraddistinguono per un fruttato di particolare delicatezza e intensità, con apprezzabili note di amaro e piccante.

Puglia

L’olio extravergine d’oliva pugliese è molto più di un prodotto alimentare. La sua importanza in termini economici si fonde con un forte valore simbolico e storico. Le piante di ulivo, moltissime secolari, offrono al paesaggio, da Nord a Sud, dalla campagna al mare, tratti davvero unici. Tutto evidenzia la valenza sociale e culturale del prodotto olio extravergine, la sua utilità collettiva, anche nella salvaguardia dell’ambiente e del paesaggio, nonché il suo contributo alla qualità della vita. I numeri della Puglia dell’olio: 384.300 ettari, oltre 56 milioni di piante, 774 frantoi attivi, 267.203 aziende e, sul fronte della produzione, 161.551 tonnellate stimate per la campagna 2021/2022, in crescita del 38% rispetto all’anno precedente. Numeri che fanno della regione la prima in Italia per produzione, ma anche per le flessioni produttive che in quest’ultima annata hanno interessato soprattutto il Sud. La Puglia custodisce tanti territori dell’olio extravergine, per cui occorre sapersi orientare fra le diverse cultivar. Coratina e Ogliarola – che donano oli dal gusto intenso e deciso – sono le varietà più diffuse. A Nord, nella provincia di Foggia, nel Gargano, nella Daunia e nell’alto e basso Tavoliere, si coltivano anche la Peranzana, la Rotondella e la Gentile di Larino; qui troviamo oli ben caratterizzati dagli aromi varietali, che vanno dal leggero e scorrevole al medio corpo. Andria, Canosa, Corato e Ruvo, nelle province di Bari e Bat, rappresentano il regno della Coratina che dà oli piuttosto fruttati e spesso piccanti.

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Patria dell’Ogliarola è invece Bitonto, con oli di finezza straordinaria, leggermente fruttati e con uno spiccato retrogusto di mandorla. Verso Sud-Est, sino ai confini con i territori di Brindisi e Taranto, è invece la Cima di Mola a essere familiare. Infine il Salento, presidiato da estensioni notevoli di oliveti, nei quali frequentemente si trovano le cultivar Ogliarola e Cellina di Nardò. La Puglia vanta ben 5 Denominazioni d’Origine Protetta: la DOP Terra di Bari – in termini numerici una delle più importanti dell’intero Paese – con le sottozone “Bitonto”, “Castel del Monte”, “Murgia dei Trulli e delle Grotte”; la DOP Dauno, con le menzioni geografiche “Alto Tavoliere”, “Basso Tavoliere”, “Gargano”, e “Sub Appenino”; infine le DOP Collina di Brindisi, Terra d’Otranto e Terre Tarentine.

Sardegna

Il percorso evolutivo cominciato molto tempo fa ha fatto sì che oggi l’olivicoltura sarda, a tutti i livelli, si presenti in condizioni di eccellenza. Un formidabile lavoro di ricerca ed assistenza tecnica con personale capace e motivato e con operatori recettivi rende la regione una delle aree più vocate dell’olivicoltura nazionale. La DOP Sardegna, comprende tutto il territorio regionale; molte sono le produzioni fortemente legate alle varietà autoctone, fra cui ricordiamo la Bosana, la Nera di Gonnos, Nera di Villacidro, Pizz’e Carroga, Nera di Oliena, Semidana, Tonda di Cagliari. 

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Gli oli sardi hanno caratteristiche di grande complessità e normalmente si presentano con note di fruttato erbaceo/carciofo. La superficie olivetata regionale è di oltre 40.500 ettari con la presenza di 96 frantoi. Sulla base delle tendenze produttive stimate da Ismea per la campagna 2021/2022, la produzione è pari a 3.000 tonnellate

Sicilia

La Sicilia è tra le regioni olearie più importanti al mondo per quanto attiene la qualità e la varietà della sua produzione, potendo contare su una grande ricchezza del patrimonio genetico autoctono, sulla prevalenza di aziende di produzione e trasformazione a carattere “non industriale”, su condizioni pedoclimatiche favorevoli, sulla rilevanza della produzione DOP e da olivicoltura biologica, nonché su un’elevata percentuale di oli ad alto contenuto nutrizionale e nutraceutico. Vi si coltivano ad ulivi oltre 157.000 ettari e per la campagna 2021/2022 la produzione si attesta sulle 42.605 tonnellate circa, in crescita del 30% rispetto all’anno precedente, anche grazie all’attività svolta dai 575 frantoi presenti sul suolo regionale. L’olio siciliano proviene prevalentemente da otto cultivar: Biancolilla, Cerasuola, Moresca, Nocellara del Belice, Nocellara Etnea, Ogliarola Messinese, Santagatese e Tonda Iblea. A queste si aggiungono una ventina di cultivar con minore diffusione, tra le quali: Brandofino, Calatina, Crastu, Giarraffa, Minuta, Nocellara Messinese, Piricuddara e Verdello. Le aree di produzione a Denominazione d’Origine Protetta sono sei: DOP Monti Iblei, che annovera ben otto sottozone (“Calatino”, “Frigintini”, “Gulfi”, “Monte Lauro”, “Trigona-Pancali”, “Val d’Anapo”, “Val Tellaro”, “Valle dell’Irmino”); DOP Valli Trapanesi; DOP Val di Mazara; DOP Monte Etna, con le sottodominazioni “Monte Etnea” e “Valle dell’Alto Alcantara”; DOP Valle del Belice; DOP Valdemone.  La produzione olearia da agricoltura biologica è un’importante realtà nella regione. Ciò è da attribuire principalmente alle favorevoli condizioni climatiche in cui si sviluppa la coltura.

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Le aree di produzione a Denominazione d’Origine Protetta sono sei: DOP Monti Iblei, che annovera ben otto sottozone (“Calatino”, “Frigintini”, “Gulfi”, “Monte Lauro”, “Trigona-Pancali”, “Val d’Anapo”, “Val Tellaro”, “Valle dell’Irmino”); DOP Valli Trapanesi; DOP Val di Mazara; DOP Monte Etna, con le sottodominazioni “Monte Etnea” e “Valle dell’Alto Alcantara”; DOP Valle del Belice; DOP Valdemone.  La produzione olearia da agricoltura biologica è un’importante realtà nella regione. Ciò è da attribuire principalmente alle favorevoli condizioni climatiche in cui si sviluppa la coltura.

Toscana

L’olivicoltura e la produzione dell’olio extravergine di oliva, come per il vino, rivestono in Toscana una significativa valenza non solo economica, ma anche ambientale, paesaggistica, sociale e turistica. Oltre 90.000 ettari olivetati sul territorio, oltre 17,4 milioni di piante, 77.567 aziende attive nel settore, 416 frantoi, 12.550 tonnellate di olio stimate per la campagna 2021/2022, sono i numeri di questo pregiato comparto dell’economia locale. Il patrimonio olivicolo è composto, nella quasi totalità, dalle varietà Frantoio, Moraiolo, Leccino, Maurino, Pendolino e Olivastra Seggianese, con alcune varietà minori. Un patrimonio genetico vastissimo, selezionato e riprodotto nel tempo, quest’ultimo, che va a caratterizzare, insieme alla secolare esperienza dell’uomo, l’olio toscano. La coltivazione dell’olivo è tradizionalmente condotta con metodi di tipo estensivo, con limitato impiego di fertilizzanti e fitofarmaci, e negli ultimi tempi con un crescente sviluppo del metodo di produzione biologico. I 416 frantoi sono distribuiti su tutto il territorio regionale e consentono una tempestiva lavorazione delle olive in un lasso temporale sempre più breve, con esiti positivi sulla qualità dell’olio. Grazie all’indiscussa qualità dell’olio, la regione vanta una IGP – Olio Extra-Vergine di Oliva Toscano – e quattro DOP – Chianti Classico, Terre di Siena, Lucca e Seggiano. Negli ultimi anni si è affermata una forte sensibilità per il rinnovamento tecnologico, volto al miglioramento dei processi di lavorazione e alla produzione di oli extravergini di oliva di “alta qualità”. Cresce inoltre l’attenzione verso la produzione di oli ad alto contenuto di polifenoli, in un’ottica proiettata sugli aspetti salutistici e nutrizionali. L’analisi dello scenario regionale non può tuttavia limitarsi a considerare gli aspetti economici.  A trarre beneficio dagli oliveti spesso impervi e dunque inidonei alla raccolta meccanizzata, è la tutela ambientale, sebbene a fronte di maggiori costi di produzione.

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 La presenza delle piante di olivo caratterizza inoltre il paesaggio della collina toscana, armoniosamente modellato dall’uomo nel corso dei secoli. Importante è poi la funzione sociale svolta dalla coltivazione dell’olivo, che interessa non solo le aziende agricole professionali, ma anche molti agricoltori a tempo parziale, concorrendo ad assicurare la presenza dell’uomo in campagna. Da ricordare lo stretto legame con la cucina tradizionale, di cui l’olio di oliva è ingrediente fondamentale. Il ruolo dell’olivicoltura toscana deve però essere visto anche in relazione all’integrazione con gli altri settori dell’economia regionale, in particolare con il turismo, l’artigianato, il commercio di prodotti tipici. Anche in virtù di queste sinergie, l’olivicoltura svolge una funzione strategica e trainante in molte aree della Toscana.

Trentino Alto Adige

Al 46° grado di latitudine – corrispondente al Lago di Garda – la coltivazione dell’olivo raggiunge uno dei limiti più a Nord nel nostro emisfero. Grazie al clima mite, la coltivazione dell’olivo nel Basso Sarca (TN) e nella zona del Garda trentino rappresenta un unicum in Italia e in Europa. I primi a portare la pianta alle pendici delle Alpi, scoprendo che si potevano ottenere ottimi risultati, furono i Romani. Poi i monasteri della zona continuarono questa pratica rendendola abbastanza comune nel Medioevo. Oggi la superficie regionale coltivata – 392 ha – interessa soprattutto l’Alto Garda e la Valle dei Laghi in Trentino, variando dai 70 agli 850 metri di quota dove trovano dimora oltre 14.000 ulivi. Dieci i frantoi attivi, per una produzione che nella campagna olearia 2021/2022 è stimata in 355 tonnellate, con una diminuzione produttiva di circa il 40% rispetto all’annata precedente. La varietà prevalente è quella dell’olivo Casaliva o Gargnà, la cui caratteristica principale consiste nel produrre un’oliva che non diventa mai completamente nera, neppure quando è matura. Altre cultivar piuttosto diffuse sono il Frantoio, il Leccino e in minor misura il Pendolino. Altre cultivar autoctone che concorrono all’olivaggio sono la favarol, la trep e la raza. La raccolta avviene ancora per lo più a mano e si svolge da novembre a dicembre, quando il frutto non ha ancora raggiunto la completa maturazione. La molitura segue di pochi giorni la raccolta: un tempo con macine di pietra, oggi con moderni frangitori. In entrambi i casi l’estrazione avviene esclusivamente a freddo, con una temperatura costante di poco inferiore ai 27° C.

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L’olio così ottenuto viene opportunamente filtrato prima dell’imbottigliamento. Uno degli oli extravergine di oliva più rinomati del Trentino è quello DOP del Garda. Esso appartiene alla grande famiglia degli oli del Garda DOP che si compone delle sottozone “Garda bresciano”, “Garda orientale” e appunto “Garda trentino”. Il Garda DOP si distingue per il colore verde dai riflessi oro, i profumi erbacei con sentori di mandorla e carciofo, il gusto rotondo, il fruttato leggero con note piccanti e amare. Abbinamenti ideali: minestre d’orzo, insalate, carni bianche ai ferri e soprattutto pesce di lago. Un tempo gli avanzi della spremitura delle olive, in nome di un’economia povera in cui nulla doveva essere sprecato, venivano impastati insieme a lievito e farina e talvolta a vino e a zucchero, per la preparazione del tipico “pan de molche” (briciole).

Umbria

L’origine dell’olivicoltura in Umbria è molto antica. I primi a praticare le coltivazioni furono gli Etruschi, mentre i Romani ne perfezionarono le tecniche; l’olio umbro, infatti, era considerato uno tra i più pregiati e veniva apprezzato nell’Urbe per le sue caratteristiche organolettiche, al punto da far sviluppare fiorenti rapporti commerciali con il Tevere a fare da via preferenziale. Ma è solo nel 1830, seguendo l’invito di Papa Pio VIII, grazie a un grande aumento della coltivazione, che l’olivicoltura umbra raggiunse il massimo dell’espansione. Per la campagna 2021/2022, l’Umbria ha una stima di produzione di circa 3.962 tonnellate di olio. La superficie olivetata regionale inoltre supera i 27.000 ha, coinvolgendo attivamente 220 frantoi. L’olivo, sfidando un clima avverso e un terreno difficile, continua ad essere coltivato con grande sforzo e passione, valorizzando e caratterizzando il paesaggio; si tratta senz’altro della pianta che più si identifica con il territorio umbro. Ambiente, varietà e professionalità degli olivicoltori e dei frantoiani, fanno così dell’extravergine umbro un prodotto unico al mondo. Olio che risulta essere sempre più l’elemento principe della semplice cucina di tradizione, condensandone ed esaltandone i sapori. L’olio DOP Umbria rappresenta in pieno la dieta mediterranea, fondendo la qualità al gusto, il cibo alla cultura e allo stile di vita.

umbria oro

La Denominazione di Origine Protetta Umbria, prima denominazione in Italia a coprire l’intera produzione oleicola regionale, nasce nel 1998 e comprende cinque menzioni geografiche: “Colli Amerini”, “Colli Assisi-Spoleto”, “Colli del Trasimeno”, “Colli Martani” e “Colli Orvietani”. Le cultivar principali sono: Frantoio, Moraiolo, Leccino, Dolce Agogia, San Felice, Rajo; tra le varietà minori: Nostrale di Rigali, Borsciona, Morcona, Pendolino. L’olio extravergine di oliva DOP Umbria ha un colore che varia dal verde intenso al giallo dorato; il profumo è complesso ed elegante, con ampi sentori di erbe di campo, carciofo e cardo selvatico, con un’appagante nota balsamica e un perfetto equilibrio tra amaro e piccante. Le peculiarità specifiche delle differenti cultivar e le escursioni termiche, dovute al clima continentale presente in tutta la regione, rendono il DOP Umbria un olio ricco di sostanze fenoliche.

Veneto

È molto probabile che la coltura dell’olio nel Triveneto sia stata introdotta dai coloni romani dell’Imperatore Augusto, inizialmente lungo le rive del Lago di Garda. Notizie certe ci sono nell’Alto Medioevo: documenti del IX sec. fanno riferimento a oliveti che dall’area gardesana – Riva del Garda e Malcesine – si svilupparono poi verso le colline della Lessinia, fino a quelle vicentine, asolane e alle pendici dei Colli Berici ed Euganei, per arrivare in Friuli Venezia Giulia. Dalla campagna veronese al limitare della provincia di Treviso, l’olivo trova terreno fertile, affiancandosi ai celebri vigneti simbolo della regione. La superficie olivetata regionale si espande su circa 5.200 ettari, potendo contare sull’attività di 65 frantoi e su una produzione che nella campagna olearia 2021/2022 è stimata in circa 735 tonnellate, con un evidente calo produttivo rispetto all’anno precedente. 

veneto oro

La produzione veneta presenta quattro realtà territoriali: la menzione geografica “Orientale” della – interregionale – DOP Garda e le sottozone “Valpolicella”, “Euganei e Berici” e “Del Grappa” facenti parte della DOP Veneto. Varietà tipiche del Veneto sono la Casaliva, Drizzar, Grignan, Favarol, Trep e la Rossanel.